Macrico: un progetto “oltre quel muro”.

Comunione d’intenti tra proprietà, istituzioni, urbanisti ed aspettative dei cittadini.

È necessaria una premessa. Il Macrico non è, e non sarà, di proprietà pubblica. L’area che da secoli rientra nel patrimonio della Chiesa di Caserta, per volere del vescovo Pietro Lagnese, verrà messa a disposizione della città per un “uso pubblico”. Il progetto di rigenerazione urbana del Macrico, in aderenza agli indirizzi urbanistici pianificatori, verrà quindi commissionato dalla proprietà e presentato al Comune. Il “Documento strategico” del Piano Urbanistico Comunale (PUC), presentato nel 2017 dallo studio Pica-Ciamarra rappresenta il Macrico come un sistema di “verde di trasformazione strategica”, da riconfigurare e “riutilizzare prevalentemente a verde pubblico attrezzato volto a definire nuove relazioni, fisiche e funzionali, con le altre componenti del sistema insediativo”. Il Piano auspica che l’area possa diventare “motore per la crescita non solo economica della città, ma anche e soprattutto, sociale e culturale tramite l’inserimento di funzioni in grado di incrementare la cultura e lo sviluppo”.

Così, quindi, il preliminare del PUC il quale non fa altro che recepire l’atto di indirizzo del Consiglio comunale, votato all’unanimità l’11 aprile 2014. In esso si stabiliva che il Macrico dovesse avere una destinazione a “verde pubblico” diventare un “parco urbano verde, con funzioni di riposo, svago e tempo libero, gioco, attività sportive, ricreative, culturali e sociali, servizi ad esclusiva finalità pubblica” e si prescriveva che il carico edilizio possibile nell’area dovesse essere “solo quello già esistente”.

La Chiesa di Caserta ha accolto l’appello proveniente dall’intera città e nel Manifesto “Da Campo di Marte a Campo della Pace” ha voluto riportare, nero su bianco, quello che è il suo intendimento: “aprire alla città l’area rifuggendo da ogni logica di speculazione edilizia, dare risposte concrete al bisogno di spazi verdi, accessibili, attrezzati e organizzati secondo i criteri della sostenibilità ambientale, perché questi possano assolvere anche un compito di riequilibrio eco-biologico, costituire un’attrazione turistica, svolgere le funzioni classiche proprie del parco urbano e nello stesso tempo essere vero polo multifunzionale a destinazione sociale e culturale”; ed ancora “la rigenerazione dell’area dovrebbe rappresentare, per la città, una straordinaria possibilità di crescita, in termini di qualità della vita e più concretamente, un’opportunità di sviluppo sostenibile e di lavoro per tanti giovani”. È su queste basi che la proprietà, in sinergia con gli enti pubblici, attraverso un processo di coprogettazione dal basso che coinvolgerà tutte le forze vive della città, deciderà cosa materialmente realizzare oltre quel muro.

Macrico. Foto di Cinzia Toscano

I residenti locali rappresentano la migliore fonte di idee per progettare e rigenerare un luogo. In alcune cittadine americane nell’ambito del Project for Public Spaces è stato sperimentato un metodo: devono esserci tanti buoni motivi perché un luogo, piazza o parco che sia, divenga vivibile; è cioè necessario che le persone abbiano 1) un posto dove sedersi, 2) giochi per bambini, 3) musica, 4) cibo da condividere, 5) persone da incontrare, 6) una buona illuminazione, 7) servizi funzionanti e così via. Ed ecco che un parco diventerà vivo e non un museo verde se, oltre alla natura, avrà una grande fontana, uno spazio ludico e un venditore di popcorn, una fermata dell’autobus nelle vicinanze, una pista ciclabile e punti di ristoro. Ed ancora: la presenza di una biblioteca, di un’arena per spettacoli, di un centro di aggregazione giovanile, vale a dire luoghi dove vivere e promuovere iniziative culturali, non potranno che significare punti di forza per la sostenibilità e la crescita di quel luogo.

Si tratta di un metodo che coinvolge le persone con proposte, suggerimenti, idee e che, al di là della sua semplicità un po’ manualistica, rinvia ad una dimensione più profonda. Sono la mescolanza, la biodiversità, l’opportunità di fare più cose contemporaneamente che conferiscono valore ad un luogo.

E poi c’è lo sviluppo e la crescita economica sostenibile. Guardiamo all’esperienza di don Antonio Loffredo che ha promosso il recupero della Catacombe di Napoli facendo diventare l’opera di rigenerazione di un luogo abbandonato occasione di impresa sociale, di promozione culturale e turistica, mettendo al centro un’idea di economia civile. Non inventa nulla padre Loffredo: ricuce, apre spazi, attiva processi, si muove tra una dimensione creativa e una imprenditoriale, perché capisce che se le idee non diventano progetti, imprese, posti di lavoro, cambiamento reale nelle vite delle persone non servono a nulla. Come afferma l’urbanista Elena Granata, componente del comitato scientifico della Fondazione Casa Fratelli Tutti: “la bellezza dei luoghi e delle architetture perde valore se non continua a produrre senso e a suscitare vita, benessere e dignità in chi li vive”.

Se le nostre città sono così povere di spazi di qualità forse è perché qualcosa non ha funzionato.

Elpidio Pota

Articolo tratto dal mensile Diocesano il Poliedro (puoi visualizzarlo qui: https://www.fondazionecft.it/wp-content/uploads/2022/08/macrico-progetto-oltre-quel-muro.pdf)